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A giorni di distanza, ad impeachment decaduto, trovo ancora una certa difficoltà a farmi un’opinione su cosa stia succedendo negli USA e nel mondo, in ambito digital & social, nel dopo irruzione al Congresso. Sembra passato un secolo in questi giorni di turbinio pandemico, eppure quello che mi rimane in testa è accaduto solo qualche settimana fa. Per riassumere, i principali Social Network scelgono, per la sicurezza nazionale, di bloccare i profili di Trump, come decisione unilaterale e incontrovertibile. Ed alcuni di loro non li riapriranno mai più.
Solitamente, dopo un po’ di giorni, tendo ad avere una opinione consolidata, ma in questo caso sono combattuto fra diverse ipotesi che sono praticamente contrapposte: lo stop ai profili di Trump è censura o difesa della democrazia? Visto che ancora non so rispondermi, condivido qualche elemento in più.

#STOPHATEFORPROFIT

Il gran bailamme contro Trump e le sue frasi scellerate era già partito con forza a luglio 2020, con la campagna #stophateforprofit in cui grandissimi brand boicottarono l’advertising su Facebook chiedendo con forza la chiusura di gruppi e pagine di suprematisti bianchi e company. Il danno economico del mancato investimento in advertising di marchi come Nike fu – probabilmente – enorme per Facebook, che quindi erano stati avvisati e mezzi salvati. Il messaggio fu chiaro: stop con questa libertà di parola a razzisti e violenti, noi brand non abbiamo intenzione di spendere in pubblicità su canali che ospitano folli con rigurgiti fascistoidi.

Quindi, visti i tweet e i post di Trump, meglio bloccarlo subito, e fare bella figura con l’opinione pubblica. Il rischio di un nuovo boicottaggio, questa volta più deciso, era dietro l’angolo. Quindi ok democrazia, ma anche occhio ai top advertiser.

QANON E SIMILI, TUTTI SU AMBIENTI CRIPTATI

Un altro dei principali interrogativi che mi pongo è semplice: serve a qualcosa chiudere decine di Gruppi e Pagine di suprematisti bianchi, estremisti e haters vari? Che effetti può avere una simile scelta? Credo nessuno, perché si tratta solo di una sorta di trasloco verso altri luoghi, meno conosciuti e più difficili da trovare. Il lato positivo è che meno persone possono facilmente raggiungerli, e quindi si abbassa la possibilità di trovare adepti, ma dall’altro abbiamo assistito a una migrazione verso ambienti criptati, in primis l’osannato Signal o Telegram, che rendono più difficoltoso il controllo anche alle forze dell’ordine.

IRONIA Sì, MA IL LIMITE LO DECIDIAMO NOI

Su TikTok sta impazzendo, in USA, il trucco alla Repubblicana. Le utenti – chiaramente bianche – si truccano “come se fossero Repubblicane”, capelli biondi, rossetto inoffensivo, fondotinta bronzeo e la canzone country God Made Girl di sottofondo, come un clichè ormai consolidato. Gli effetti sono spassosi, le prese di giro alle AnchorWoman dei canali pro Trump ancora di più. Ecco, questa ironia piace ai Social, non la osteggiano, come con il First Reaction Scioc di Renzi, o altre migliaia ben più pungenti che si possono trovare sui Social. 

Ora, Trump, varcando quel confine del non condannare fermamente i rivoltosi del Congresso, non ha usato certamente l’ironia. E qui la condanna è stata abbastanza unanime. Ma, se contiamo che oggi gran parte della comunicazione politica avviene tramite Social, possono Facebook, Twitter, Instagram, bloccare il profilo del Presidente degli Stati Uniti unilateralmente, senza alcun confronto? La risposta è sì, chiaro, ma è un sì che lascia molti dubbi, perché il blocco è stato fatto non per dichiarazioni esplicite, tipo “andate a prendere il Congresso”, o per comportamenti violenti, quanto per un appoggio implicito ai rivoltosi e una mancanza di condanna degli stessi.

LA DITTATURA DELLA MAGGIORANZA SOCIAL

Non ho ancora raggiunto l’obiettivo che mi ero dato a inizio articolo – ovvero farmi un’opinione – ma di sicuro ho messo in luce una consapevolezza che spesso dimentico. Che l’opinione di massa più cool è quella che passa sempre più spesso sui Social, e che quindi la dittatura della maggioranza di tocquevilliana memoria si basa su mezzi di comunicazione quotati in borsa e che hanno il profitto come fine ultimo (non è una novità, ma di sicuro è una tendenza sempre più forte). 

Twitter ha bannato per sempre Trump, anche qualora si ripresentasse nel 2024 alle prossime elezioni. La mitigazione di questa decisione unilaterale non può essere spostarsi su Parler o aprire un nuovo Social, come Trump sembra voglia fare. Al tempo stesso, esistono limiti sull’intervento dello Stato su ambienti comunicativi privati, e tali limiti devono rimanere, ben delineati a diritto della libertà di espressione. Ma cosa sarebbe successo se lo stop fosse arrivato dal New York Times, o cosa succederebbe se, a casa nostra, alcuni giornali decidessero di non pubblicare più alcune dichiarazioni di esponenti politici estremisti? E stiamo parlando di canali con un miliardo di iscritti, non un giornale da 50.000 copie.

Era chiaro che sarei rimasto ancora indeciso: se provo a mettere in un angolo la naturale antipatia che ho per Trump e la lontananza delle sue idee dalle mie, quello che mi rimane è una sensazione di debolezza nei confronti dei Social, spesso tacciati di tenere poco alla privacy, ma liberi di depennare un Presidente degli Stati Uniti dai loro iscritti.

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